Abbiamo chiesto alla nostra amica Greta un commento alla lettura del libro “Di cosa è fatta la speranza” di Emmanuel Exitu. E’ venuto così alla luce un bellissimo incontro tra due donne lontanissime nel tempo ma vicinissime nel cuore.

Scrive Greta:

Per cominciare posso dire che se pensassi o meglio mi chiedessero qual'e la mia o una delle mie eroine preferite  io penserei subito a lei e al suo nome: Cicely Saunders! Sì, perché è merito suo e alla sua voglia di raggiungere gli obbiettivi nonostante gli ostacoli incontrati che  esistono i reparti  hospice e le cure palliative dove ci si prende cura della persona malata terminale o con malattie considerate inguaribili e che grazie a queste cure viene seguita e accompagnata serenamente fino all'ultimo sia da un punto di vista medico che spirituale.
Proprio di questo e in particolare della parte spirituale voglio parlare perché mi riguarda.

Da un po' di anni una volta alla settimana mi reco nel reparto Hospice "Sulle Ali" dell'ospedale di  Circolo di Varese dove utilizzo l'arpa all'interno delle stanze del reparto e tramite il  suono dello strumento cerco di portare beneficio sia ai pazienti stessi ma spesso anche ai loro familiari presenti sia nelle stanze che in sala d'attesa.
Concordo e confermo quello che Cicely riteneva importantissimo e che io considero una "cura per l'anima" ovvero accompagnare i pazienti facendoli vivere bene il momento "presente", ascoltando i racconti delle loro vite e iniziando a dialogare con loro ad esempio delle loro passioni ma anche di cose leggere riguardanti la vita quotidiana, ad esempio parlare di un film che hanno visto. Tutte cose che nonostante il dolore aiutano anche loro a spostare l'attenzione dalla malattia ma anche affrontarla in un modo più sereno.

Per me infatti è utile perché quando mi trovo all'interno delle loro stanze, dopo che ci siamo presentati a vicenda e iniziamo a conoscerci e a chiacchierare, in base anche alla voce e al loro stato d'animo io riesco a trovare un suono, un accompagnamento musicale o una nota di risonanza che possa essere utile in quel momento e far loro del bene. Questo è anche il fondamento racchiuso nel motto di tutti noi di “Sulle Ali” ovvero ASCOLTARE, AIUTARE E ACCOMPAGNARE!!!

Riporto le parole molto sentite che verso la fine del libro Cicely  pronuncia e che ritengo siano e saranno sia per me che per chi lavora negli hospice ma in generale nella relazione d'aiuto, una guida da seguire e un riferimento indelebile
"Gli operatori sanitari, qualunque fede abbiano o non abbiano, devono offrire prima di tutto se stessi e solo dopo la loro competenza. Cuore e mente. Sembra niente, eppure questo trasforma i pazienti e gli operatori perché fa scoprire la ricchezza del donarsi a vicenda e fa scoprire che solo il dono è il modo giusto di misurare il tempo perché il tempo non si misura mai dall'esterno col ticchettio delle lancette ma solo dall'interno con i battiti del CUORE"
Immensamente grata a te Cicely.

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Fausto Podavini è fotografo professionista da molti anni. E’ stato vincitore del primo premio sezione Daily Life del world Press Photo, uno dei maggiori riconoscimenti a livello mondiale nell’ambito del fotogiornalismo con il suo lavoro “MiRelLa” che racconta la vita di tutti i giorni di una coppia, Mirella e Luigi, uniti da 43 anni e della loro lotta contro una malattia come l’Alzheimer. L’ Alzheimer è una malattia degenerativa che attacca la memoria, il pensiero, il comportamento e le emozioni e si può definire un tipo di demenza. In Italia circa 600.000 persone soffrono di questa malattia. La persone perde pian piano l’autonomia e il senso di sé.

Per Mirella questo ha significato che i compiti di ogni giorno diventavano sempre più lunghi e difficili.

Ad un certo punto Luigi ha smesso di mangiare perché non distingueva più la funzione delle posate e il cibo stesso. Incapace di distinguere il giorno dalla notte, dormiva di giorno e stava sveglio di notte e anche Mirella ha dovuto cambiare i suoi ritmi. Dopo 5 anni di malattia Luigi non riconosceva più sua moglie.

Gli scatti di Podavini raccontano soprattutto la dedizione e l’amore di questa donna che ha assistito il marito fino al termine della sua vita. «Ho fotografato l’Alzheimer -racconta il fotografo- passando per la quotidianità di chi assiste il malato. Un quotidiano fatto di oggetti e segni, gesti e attenzioni, dove giorno dopo giorno l’incredulità fa spazio alla speranza ed i ricordi fanno spazio al dolore. Ho provato a raccontare il morbo attraverso il sentimento di Mirella.… Il lavoro è durato quasi quattro anni e le difficoltà fotografiche sono state niente rispetto a quelle emotive, cercando di diventare invisibili in un ambiente così ristretto, intimo e così conosciuto. E’ una storia di vita quotidiana, è una storia Italiana, ma in realtà è una storia che non ha confini e che colpisce le persone indipendentemente dal sesso, dal ceto sociale, dal paese di provenienza. Ho voluto raccontare l’Alzheimer per una serie di motivi. Perché mi occupo di reportage sociale, perché ho visto in MiRelLa una storia intensa e importante da raccontare e perché documentandomi ho scoperto che c’è molta carenza di informazione sull’argomento».

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Senti la parola “apparizione” e il tuo pensiero corre veloce verso Bernadette a Lourdes o verso i tre pastorelli a Fatima; o magari verso l’angelo Gabriele che apparve a Maria a Nazareth. Dato che il 25 marzo era il lunedì della Settimana Santa, quest’anno abbiamo festeggiato l’Annunciazione lunedì 8 aprile: appena conclusa l’Ottava di Pasqua con l’apparizione di Gesù a Tommaso il quale fa l’umanissima esperienza del “vedere per credere” e del “toccare” la carne risorta di Cristo, ecco l’apparizione aprile 24 1dell’angelo e il “sì” di Maria nel “momento di tempo” dell’Incarnazione, giusto 2024 anni fa. È questo il giorno che divide la storia tra un prima e un dopo: prima di Cristo e dopo Cristo. Ma questo è avvenuto e continua ad avvenire oggi, qui, nella mia storia personale. A qualcuno accade un imprevisto dolorosissimo, una malattia, un incidente, un crollo psicologico… e subito ne viene quell’immedicabile e apparentemente inguaribile “mel-ancolia” (che vuol dire “umore nero”). Quand’ecco irrompere nella vita un angelo in carne ed ossa che ha in faccia una contagiosa voglia di vivere. E si torna a respirare.

Lo dice Leopardi, in quei memorabili giorni passati a Pisa nell’aprile 1828 in cui, guardando un giovane volto umano, ha sentito in sé “risorgere” la speranza (cantata in una bellissima e sconosciuta lirica intitolata proprio Il risorgimento). Ecco il brano del Recanatese: “ …Ma veramente una giovane dai sedici ai diciotto anni ha nel suo viso nei suoi moti, nelle sue voci, salti ecc. un non so che di divino, che niente può agguagliare… Quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o che voi nel guardarla concepite in lei e per lei; quell’aria d’innocenza, d’ignoranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; quel fiore insomma, quel primissimo fior della vita; tutte queste cose, anche senza innamorarvi, anche senza interessarvi, fanno in voi un’impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che voi non vi saziate di guardar quel viso, ed io non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l’anima, di trasportarci in un altro mondo, di darci un’idea d’angeli, di paradiso, di divinità, di felicità. Tutto questo, ripeto, senza innamorarci, cioè senza muoverci desiderio di posseder quell’oggetto. La stessa divinità che noi vi scorgiamo, ce ne rende in certo modo alieni, ce lo fa riguardare come di una sfera diversa e superiore alla nostra, a cui non possiamo aspirare”.aprile 24 2

Leopardi aveva appena compiuto trent’anni e la malattia avanzava: scoliosi e cifosi, o forse – diremmo oggi – spondilosi anchilosante. I compaesani lo avevano irriso come “il gobbo di Leopardi”. Insomma: la tempesta. E, improvvisa, balena la Bellezza proprio come un arcobaleno: il supremo segno naturale di una divina caleidoscopica positività che s’inarca, scendendo dal cielo verso la terra, a portare una momentanea quiete dopo la tempesta. Ma alla lunga non tiene, com’egli canta in quella stessa primavera del ’28 in A Silvia. Silvia incarna la speranza di un attimo: Silvia anagramma di “salivi”, “Silvia” “il limitar di gioventù salivi”… Silvia – ahimè – “all’apparir del vero tu misera cadesti”. “Salivi” e presto tragicamente “cadesti”. Nella grande arte sacra cristiana l’arcobaleno è supremo segno di ben più solida e duratura speranza. Un segno oggi ideologicamente rovesciato in bandierina di un ambientalismo che non sa più guardare il creato come “anà-logìa” del Creatore francescanamente “laudato”; vessillo di un pacifismo senza esperienza di pace già donata e mendicata (il saluto di san Francesco è “Il Signore ti dia la sua pace”); stendardo di un pervasivo gender che papa Francesco non si stanca di stigmatizzare come “colonialismo ideologico”.

Lasciamoci incantare da tre momenti in cui i colori dell’iride scendono dal cielo a far rinascere l’ontologica (e per questo inguaribile) certezza di un misterioso bene dentro e oltre le tempeste che il Mistero buono permette nella vita.
1. All’inizio l’arcobaleno che pone termine al diluvio universale, come sigillo dell’Antica Alleanza tra Cielo e terra: splendido il mosaico nel nartece della veneziana basilica di San Marco.
2. Nel nuovo inizio che è l’avvenimento dell’Incarnazione: squisiti i colori dell’iride nell’angelo Gabriele dipinto da Jan van Eyck.
3. Nel Fine ultimo oltre la fine del mondo, come definitivo inizio della resurrezione della carne che avrà occhi capaci di contemplare Dio Trinità riverberantesi da una

Persona all’Altra “come iri da iri”, cioè come arcobaleno da arcobaleno, nella visione donata a Dante alla fine della Divina Commedia. E anche Giotto incornicia coi colori dell’iride il Cristo del Giudizio universale.
Che grande grazia per ciascuno di noi il fatto di esserci imbattuti in un riverbero di questo splendore e di questi iridescenti colori, nei volti di amici che ci stanno accanto hic et nunc: qui e ora.

aprile 24 3


Didascalie:
L’arcobaleno alla fine del Diluvio universale, mosaico del nartece nella basilica di San Marco a Venezia
Annunciazione di Jan van Eyck, National Gallery di Washington.
Cristo Giudice, affrescato da Giotto nella controfacciata della Cappella degli Scrovegni di Padova

di Roberto Filippetti www.filippetti.eu

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