1 Simeone GiottoCi stiamo incamminando anche noi con Giuseppe e Maria verso il 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù bambino al Tempio. Festa luminosa, la Candelora, che giunge come “compimento” quaranta giorni dopo il Natale. Prima di andare a letto si recita la “compieta” perché la giornata è “compiuta”. Quaranta è numero diffusissimo nella Bibbia che simboleggia appunto un tempo “compiuto”. Io condivido la “sub-gestiva” ipotesi che esso nasca dalle quaranta settimane della vertiginosa gestazione umana, dopodiché attraverso il travaglio del parto la creatura viene alla luce.

Solo tre esempi: i travagliati quarant’anni nel deserto, fino all’approdo nello splendore della Terra Promessa; i quaranta giorni di Gesù nel deserto e le tre tentazioni, fino all’inizio dei tre entusiasmanti anni di vita pubblica; i quaranta giorni per antonomasia – la quaresima – fino al trionfo dell’ingresso a Gerusalemme, cui fa seguito il precipizio del Golgota e il definitivo trionfo della radiosa alba nuova di Pasqua. Il giorno della Presentazione al tempio si “compie” l’attesa del vecchio Simeone, che può andare in pace perché i suoi occhi hanno visto nella carne di un Bambino la “luce per illuminare” tutti i popoli.2 Simeone Beato angelico det

È questa una festa grande per noi latini, e grandissima nel mondo ortodosso che la chiama “ipapànte”, cioè “incontro”: l’incontro tra l’attesa del cuore e il suo sorprendente compimento. Etimologicamente “in-contro” è parola che cela un intimo ossimoro: “in-” esprime attrazione, “-contro” dice invece repulsione. Anche a livello semantico il Bambino entra in scena come “segno di contraddizione”. Nei capolavori di Giotto e del Beato Angelico vince il positivo, espresso dalla grande pace che connota i volti. Invece nei capolavo3 Simeone Mantegna dettri “gemelli” dei due cognati Giovanni Bellini e Andrea Mantegna tutto appare tremendamente serio e inquietante. Entrambe le tavole fissano il contraccolpo della profezia formulata dal vecchio sacerdote alla giovane Madre: “Anche a te una spada trafiggerà l’anima”. 

È questo il primo dei “sette dolori” di Maria. Particolarmente sconsolato e incupito appare Giuseppe, in leggero secondo piano al centro. Ma c’è una parola-chiave, verso l’inizio del racconto dell’evangelista Luca: «A Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui» (Lc 2, 25). “Con-solazione”: da tempo m’interrogo su cosa significhi questa parola. Il card. Gianfranco Ravasi scrive: «l'etimologia di questo vocabolo è il termine “solo”: quindi “consolare” è sostanzialmente “stare con uno che è solo”».

Io credo invece che alla radice ci sia il latino solacium che significa “conforto, aiuto, ristoro”. Tenendo insieme le due ipotesi, “consolare” significa dunque donare una compagnia che conforta, e fare compagnia a chi è solo col suo dolore. Simeone aspettava la consolazione d’Israele e se la ritrovò sorprendentemente fra le braccia: una carne da abbracciare, dunque. Un Dio che non toglie la spada che trafigge neanche all’Addolorata sua Madre, ma che salirà in croce e si farà trafiggere. E che risorgerà. E che permarrà lungo i secoli nella forma della compagnia che “con-sola”.

di Roberto Filippetti www.filippetti.eu

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