Dietro questo nome tutto inglese ci sta una storia tutta italiana. Nel nostro paese amiamo la buona cucina, siamo sicuramente un’eccellenza in campo internazionale, amiamo le nostra tradizioni ma soprattutto amiamo i nostri figli e per loro siamo capaci di mettere in campo tutta la fantasia di cui siamo capaci. Yuri Primicerio è il nome di un ragazzo autistico per il quale il papà Giuseppe, da buon pugliese, si è inventato il progetto “Le orecchiette che vorrei”.

Le orecchiette sono un prodotto della tradizione pugliese, conosciuto in tutto il mondo. La loro preparazione artigianale coinvolge i ragazzi con autismo. Come dice Giuseppe: “ Il nostro obiettivo è quello di rendere i ragazzi con autismo autonomi, inserendoli nel mondo del lavoro e dando loro uno scopo, facendoli sentire utili e gratificati.” “I giovani sono divisi in gruppi da 6 o 8 persone e lavorano circa 3 o 4 ore al giorno, a seconda delle loro capacità di concentrazione e di resistenza. Avere gruppi poco numerosi favorisce il senso di aggregazione e di appartenenza, aiuta i ragazzi a sentirsi attivi e tutto ciò ha anche un valore terapeutico”. “Mentre lavorano, i ragazzi sono felici perché si sentono utili e sanno di costruire un’opportunità per il loro futuro.

Il progetto “Le Orecchiette Che Vorrei”, infatti, punta proprio a rendere i giovani con autismo autonomi dal punto di vista economico e a sentirsi inseriti nella comunità.. L’intento è preservare l’autenticità del nostro territorio, ma facendo un passo ulteriore, che ci proietta verso il futuro. Ormai le persone sono sempre più attente a ciò che mangiano, perciò vogliamo offrire un prodotto di qualità, buono da gustare, sano e che fa bene alla salute” e queste orecchiette coniugano tradizione e innovazione. Tra le innovazioni ci sono sicuramente gli ingredienti: acqua di mare purificata e una miscela di farina di riso e di mais e fecola di patate. Non solo Papa Francesco ha avuto modo di apprezzare il piatto pugliese. “Le orecchiette che vorrei” e i suoi ragazzi sono stati selezionati per partecipare al G7 per le disabilità che si è svolto ad Assisi ad ottobre 2024.

I ragazzi autistici coinvolti hanno avuto l’opportunità di incontrare i ministri dei sette Paesi più industrializzati e di far conoscere la loro storia, unendo la passione per la cucina alla voglia di costruire un futuro migliore.

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Un giardino di Forlimpopoli, della sua Forlimpopoli, sarà intitolato a Tony Golfarelli. La sindaca della cittadina romagnola, Milena Garavini, ha dato l'annuncio ufficiale sabato 15 marzo, nella splendida e suggestiva cornice della Chiesa dei Servi. Doveva essere un incontro ordinario, promosso anche dal Club L'inguaribile voglia di vivere e condotto dal nostro presidente Massimo Pandolfi. E’ diventato un pomeriggio di festa, di ricordo, di commozione. Tony era una colonna del Club L'inguaribile voglia di vivere e il suo impegno è stato costantemente ricordato nel corso della giornata. Colpito da giovane dalla sclerosi multipla, Tony è stato un esempio di come si può, sempre, dare un significato a un'esistenza. E ora, giustamente, la sua Forlimpopoli gli intitolerà un giardino, un piccolo parco: uno spazio aperto profuma sempre di libertà e Tony era un simbolo, nell'accezione più bella del termine, di libertà. Ecco, di seguito, l'introduzione all'incontro fatta dal nostro presidente Massimo Pandolf.

Si, Tony Golfarelli, il nostro caro Tony, aveva un'inguaribile voglia di vivere.L'inguaribile voglia di vivere, il Club L'inguaribile voglia di vivere, è un associazione di volontariato che aiuta le persone disabili e malate a realizzare i loro sogni. L inguaribile voglia di vivere è nata 15 anni fa e porta il nome di un mio libro. Un libro che racconta storie di malattie, disabilità, mistero, ma anche e soprattutto speranza. Ripeto la parola: speranza. Tony, il nostro caro Tony, è stato una colonna del Club. Ma è stato molto di piu. Tony è stato l'esempio vivente di cos'è l'inguaribile voglia di vivere. Di cos'è la speranza. Tony si immergeva, si tuffava ogni giorno nella bellezza e nei dolori dei misteri della vita. E lo ha fatto, per un'infinità di anni, a braccetto di una compagna antipatica, cattiva, in fondo criminale, perché alla fine lo ha in qualche modo ucciso: la Sclerosi Multipla, la Signora Maestra come la chiamava lui. Tony non la voleva la Signora Maestra, ma lei c era, non l'ha mai mollato.

L'esempio di Tony, che tutti i forlimpopolesi conoscono bene, può aiutarci. Anche per questo siamo qui. Può aiutarci a parlare di tematiche complicate e divisive come anche il cosiddetto fine vita ad esempio, Ma la lezione di Tony ci insegna anche a contare fino a dieci prima di parlare e soprattutto giudicare. Con le parole si fa confusione, c’ incartiamo, ci si divide.

La vita di Tony, se mi permettete, la carne di Tony invece non può che unirci. Ci fa abbracciare. E' bello abbracciarci. E se non ci abbracciamo mai, che vita è?
Parleremo oggi di Tony certo, ma anche di altro. Di prevenzione, ad esempio. Prevenire si può sempre. E la prevenzione oggi è importante. Fondamentale.
Ma parliamo di queste cose senza illuderci di poter diventare i padroni del mondo, sconfiggere la morte, una parola che ci fa tanto paura ma di cui invece forse si può e si deve parlare. Perché bisogna farci i conti, perché ce li faremo tutti prima o poi, come ce li ha fatti meno di un anno fa Tony. 
Anche curare si può, sempre. Ma evitiamo che il verbo curare si confonda con l'altro verbo che è il titolo del mio libro, della nostra associazione, di questo convegno: guarire.

Vi do una brutta notizia: guarire non si può sempre. Tony non è guarito, non poteva guarire. Magari un giorno la sclerosi multipla sarà sconfitta, ma nascerà un'altra malattia che si chiamerà chissà come e noi sempre lì, a rincorrere.
Succede così da milioni di anni, è lo scandalo della vita e forse anche della morte.
Ma vi do anche una bella, stupefacente notizia: non si può sempre guarire, ma curare sì. Si può sempre curare. Perché curare vuol dire prendersi cura di. E si può sempre, SEMPRE, prendersi cura di...

Tony e sua moglie Simona si sono meravigliosamente presi cura a vicenda.
Marta e suo marito Ubaldo si sono meravigliosamente presi cura di loro figlio Tony. 
Curare, curarsi, vuol dire anche costruire un mondo migliore.
Oggi come duemila anni fa, come forse due milioni di anni fa, tutti possiamo prenderci cura di me, di te, di un moribondo, di un disgraziato, di uno che non ce la fa più, perché è umano anche non farcela più.

Ogni vita è unica, irripetibile. anche quella di un malato di Sclerosi Multipla. Anche di chi sta mille volte peggio di come stava Tony. E succede.
Prendiamoci cura di --- E' un nostro dovere: durissimo, ma bellissimo.
E quando non ce la facciamo più, perchè come dicevo prima è umanissimo anche non farcela più, pensiamo a come ha vissuto il nostro Tony. Vedrete, ci darà una forza immensa. Ci darà lui una forza immensa. E magari ci aiuterà a farcela

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La Toscana ha voluto fare la prima della classe. E ha approvato una sua legge regionale per sostenere il suicidio assistito. L'Emilia-Romagna aveva bypassato il problema, evitandosi il confronto assembleare, con una delibera della giunta Bonaccini. Il quadro tra le Regioni è molto diversificato e incerto. In diverse è comunque arrivata la proposta di legge popolare cosiddetta "Cappato", dal suo principale propugnatore.

Al momento, nel circuito politico, il tutto sembra schematizzato in due sole argomentazioni: battaglia di civiltà e di dignità, dalla parte dei favorevoli all'eutanasia, e "non è di competenza regionale", la replica standard di chi - convinto o meno - non concorda. Ora, che non sia di competenza regionale, è lapalissiano. Non può esistere, su un tema così delicato, che esistano soluzioni diverse tra le Regioni. Tuttavia ci si chiede se chi dice di non concordare con i contenuti della proposta-Cappato (et similia) abbia altri argomenti di merito, a parte la tecnica dilatoria (legittima, sia ben chiaro) che punta sul fatto che a Roma, per ora, ci sarebbe una maggioranza teoricamente non pro eutanasia.

Il tema di fondo, pensando alla coscienza distratta o stanca di questo Paese, non è quali siano le competenze, ma quali siano la ragioni culturali, ideali ed educative per sostenere la vita umana e non considerarla, ad un certo punto e a certe condizioni, solo uno scarto da eliminare, aggravato da eventuale solitudine. Senza considerare poi la contraddizione in cui si troverebbe il sistema sanitario e i medici che giurano con Ippocrate: il cui scopo unico e fondamentale è la vita, la cura, non la morte. Ma ne siamo certi, il fine vita non resterà solo in Toscana, avanzerà e costringerà tutta la politica e tutti noi, prima o poi, a una scelta. O a qualche compromesso, oppure a una resa.

di Gianni Varani

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