Questa è la domanda che Alice Gennaro ha fatto alla sua mamma prima di iniziare il doppiaggio del film spagnolo “Valentina” dove dà voce alla protagonista del film. Alice ha 20 anni. Frequenta la quinta superiore all’Istituto Tecnico Marconi di Prato ed è la prima doppiatrice italiana con Sindrome di Down. Il film ha vinto nel 2022 Premio Goya come miglior film d’animazione ed è stato realizzato grazie alla collaborazione con l’Associazione Italiana Persone Down.
Valentina, la protagonista, ha la Sindrome di Down e sogna di fare la trapezista. Ha paura di non riuscirci, sa di essere diversa. La curiosità, il forte legame con la sua famiglia, la fantasia e la grande determinazione le daranno la sicurezza e la fiducia che le mancavano. E trasformeranno lei in una leggerissima farfalla e il suo sogno in realtà.
Ogni genitore,dice mamma Simona, desidera che il proprio figlio si realizzi al massimo delle proprie possibilità perché ognuno ha il proprio carisma. Alice ha dimostrato determinazione e tenacia. Ha voluto andare alle prove di doppiaggio fin dal primo giorno da sola. Quando ha detto: “mamma ti fidi di me?” mamma Simona ha capito che doveva lasciarla andare perché per ogni genitore arriva il momento di saper proteggere il proprio figlio con la dovuta se pur trepida distanza. Anche la direttrice del doppiaggio, Perla Liberatori,ha detto che da subito Alice ha dimostrato una grande serietà nell’affrontare quel lavoro pur con i suoi tempi e le sue difficoltà.
“Lavorare con Alice - dice - è stata una magnifica avventura affrontare con lei le difficoltà dello stare per la prima volta al leggio, aiutarla a recitare le battute in modo corretto hanno fatto crescere anche me umanamente e professionalmente. Tra di noi è nato subito un rapporto di fiducia, complicità e affetto e questa è la base per la buona riuscita di un lavoro”. L’esperienza di Alice è simile a quella di Valentina, la protagonista del film che diventa una farfalla sicura si sé perché “unica”.
Guardando in giro per il mondo con occhi aperti ci si imbatte in tante “belle persone”. Anna Formaggio è una di queste. E’ disegnatrice professionista e da anni illustra libri per bambini cercando di “incanalare la creatività dentro un alveo che possa diventare una strada”. Raccontare con levità la vita ai bambini, gioie e dolori compresi, ha lo stesso potere curativo e preventivo delle cure mediche perché, in ogni lavoro quando ci si coinvolge nei rapporti si può trovare una strada umana misteriosa e bella. Ecco la sua testimonianza.
«Nevio, dove eri?»
«Ah…,molto lontano…Non capisco dove sono andati tutti i pesci…, forse si sono nascosti dietro questi scogli?»
Il bambino con un libro illustrato in mano, fa viaggi lunghi. Le figure dei libri mi hanno sempre fatto andar lontano, quando non sapevo leggere e anche quando ho imparato a leggere. La potenza delle figure è talmente affascinante, soprattutto quelle dove succede qualcosa. Di pagina in pagina mi affezionavo al protagonista, scoprivo mondi sconosciuti. Storie dolorose, piene di imprevisti, storie leggere che davano certezza, fatti incomprensibili che facevano sorgere un sacco di domande. Anche ora continuo a guardare le figure degli albi illustrati per bambini, e da anni il mio lavoro è disegnare pagine per loro. Tento, fallisco, mi angoscio e gioisco nell’intento di realizzare qualcosa che possa fare compagnia a chi le osserva.
Negli anni ho cercato “maestri” da guardare, imitare, da cui imparare. Ho avuto la fortuna di incontrarne e di diventare amici, Raffaella Zardoni, Ben Hatke con i quali ho condiviso idee sul nostro lavoro. Ho cambiato gusti, ho cambiato modo di vedere, di pensare, lentamente, ho trovato uno stile con cui potermi esprimere. Ora mi accorgo di avere tantissima gratitudine per aver visto e forse un po’ imparato da loro una posizione più umana, ricca e fantasiosa. Questa vorrei trasmettere a piccoli e grandi. Il bello è che così la creatività finisce dentro un alveo e può diventare una strada.
A volte sembra che la propria creatività sia “imbrigliata” perché deve stare nei confini del testo da illustrare, nei limiti del tempo dato per la realizzazione, nella misura delle pagine. Ma questo dà la possibilità di coinvolgere il “lettore”. Per me, lavorare per i piccoli significa cercare di esprimere questa vita-Vita semplificando, colorando, incutendo sorpresa, esprimendo il dolore con una certa lievità, con pochi tratti, sicuri, per esempio. La certezza che anche dopo un percorso faticoso c’è la luce, quella che si cerca sempre. Magari con un faccino sorridente, una macchia di colore acceso, uno sguardo tra due persone, un gesto d’affetto, senza togliere la drammaticità. Si lavora per necessità ma in fondo per amore di qualcuno, col pensiero a qualcuno, (anche quando davanti a un foglio bianco mi assale il panico e non riesco a tenere la matita in mano).
Ecco, è un coinvolgimento personale, come chi fa il pane, chi guida i TIR, chi cura i malati, chi canta… è coinvolto nelle varie realtà, nei rapporti, e qui può trovare una strada umana, misteriosa e bella. Auguro a tutti di avere un lavoro, di trovare dei “maestri”, degli amici perché così forse nel futuro potremo avere la possibilità di cambiare questo mondo, la vita di tanti, camminando verso la Bellezza.
(Anna Formaggio)
A Morimondo c’è un’abbazia fondata nel 1200 dai benedettini. In quelle terre umide di nebbia Erminio Pampuri faceva il medico condotto. Siamo nel 1921, ben lontani dai tempi di San Benedetto ma c’è qualcosa in questo medico che l’accomuna al santo del MedioEvo.
Di lui Don Giussani diceva : « E’ nato nella nostra campagna, confondendosi con tutte le cose che c’erano, era un filo d’erba come gli altri, un fiore come gli altri, una pianta come le altre, un contadino come gli altri, un medico come gli altri, professionista ». E lui il suo lavoro lo faceva bene.
I suoi colleghi gli dicevano: « Non devi correre a tutte le chiamate, non devi esagerare nell’assistenza, tanto tutti devono morire ». Come se fosse uno scrupoloso; in realtà lui li accoglieva come se fossero Cristo e l’ammalato si sentiva trattato con una attenzione, una considerazione, una stima, una comprensione incredibili. Ed ecco risplende pian piano quel legame con San Benedetto, quel prendere sul serio il compito che il Signore gli aveva affidato attraverso il suo lavoro .. perchè “l’eroico diventasse quotidiano e il quotidiano diventasse eroico”.
Così Erminio Pampuri è stato proclamato santo con il nome di San Riccardo il 1 novembre 1989 da Papa Giovanni Paolo II ma la sua santità quotidiana aveva già preceduto la sua entrata nella schiera dei santi. Nella chiesa di Casorate Primo l’allora Prevosto Don Pompeo Magnoni, alla notizia della sua morte aveva voluto che sulla volta della chiesa assieme ai ritratti che raffiguravano molti i santi comparisse la sua immagine, senza l aureola, ma già lì in buona compagnia perché lui, per tutti era già santo.