andreapianoIn questa storia parliamo di vita! E non di malattia perché quando la vita è anche malattia la sua forza sta misteriosamente nella sua debolezza e il dolore può diventare la molla perché la bellezza che per caso si incontra diventi una passione da comunicare agli altri.

Un piccolo pianoforte regalato è l’occasione che scatena l’amore per la musica. A due anni e mezzo è troppo presto? Come può esserci tanta abilità nelle mani di un bimbo colpito da ischemia cerebrale ancora nel grembo materno? Basta guardare Andrea, il suo sorriso e la luce abbagliante che emana per capire quello che dice di lui papà Mirco: “Lo consideriamo in senso cristiano un angelo disceso dal cielo. È un portatore di pace, di serenità e di grande insegnamento. E’ un figlio speciale che unisce e non divide, anzi, ci induce spiritualmente a vivere con più altruismo”. 


Perché Andrea stesso è un messaggero di speranza, coraggio e positività. La sua vita non è stata di certo semplice, ma ha sempre lottato con determinazione per raggiungere i suoi obiettivi. A causa dell’ischemia la sua sfera motoria e in parte, quella del linguaggio sono state compromesse, ma lui non si è mai arreso. La musica è diventata il suo linguaggio, il mezzo per comunicare al mondo la sua gioia, la sua lotta per un mondo più inclusivo.

A 8 anni ha composto il suo primo singolo musicale e durante il lockdown ha iniziato a scrivere anche i testi per le canzoni. Nella mia canzone “Mai mollare” – dice Andrea - ho voluto trasmettere la forza di volontà, la determinazione che metto nell’affrontare i problemi della vita”… “Sarà che forse conosco già da tempo la pioggia”. Ma questa battaglia non la affronta da solo. Ha vicino una splendida famiglia che lo supporta e accompagna. La famiglia Tomassini infatti è diventata un punto di riferimento nella comunità umbra per l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità. “Abbiamo sempre creduto che l’inclusione sociale sia possibile”- afferma papà Mirco -“Abbiamo lottato affinché Andrea fosse riconosciuto come un cittadino a pieno titolo e si potesse garantire un futuro di autonomia e opportunità per lui e per altri giovani con disabilità.”

Avanti Andrea!! Non mollare mai!!

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Abbiamo chiesto alla nostra amica Greta un commento alla lettura del libro “Di cosa è fatta la speranza” di Emmanuel Exitu. E’ venuto così alla luce un bellissimo incontro tra due donne lontanissime nel tempo ma vicinissime nel cuore.

Scrive Greta:

Per cominciare posso dire che se pensassi o meglio mi chiedessero qual'e la mia o una delle mie eroine preferite  io penserei subito a lei e al suo nome: Cicely Saunders! Sì, perché è merito suo e alla sua voglia di raggiungere gli obbiettivi nonostante gli ostacoli incontrati che  esistono i reparti  hospice e le cure palliative dove ci si prende cura della persona malata terminale o con malattie considerate inguaribili e che grazie a queste cure viene seguita e accompagnata serenamente fino all'ultimo sia da un punto di vista medico che spirituale.
Proprio di questo e in particolare della parte spirituale voglio parlare perché mi riguarda.

Da un po' di anni una volta alla settimana mi reco nel reparto Hospice "Sulle Ali" dell'ospedale di  Circolo di Varese dove utilizzo l'arpa all'interno delle stanze del reparto e tramite il  suono dello strumento cerco di portare beneficio sia ai pazienti stessi ma spesso anche ai loro familiari presenti sia nelle stanze che in sala d'attesa.
Concordo e confermo quello che Cicely riteneva importantissimo e che io considero una "cura per l'anima" ovvero accompagnare i pazienti facendoli vivere bene il momento "presente", ascoltando i racconti delle loro vite e iniziando a dialogare con loro ad esempio delle loro passioni ma anche di cose leggere riguardanti la vita quotidiana, ad esempio parlare di un film che hanno visto. Tutte cose che nonostante il dolore aiutano anche loro a spostare l'attenzione dalla malattia ma anche affrontarla in un modo più sereno.

Per me infatti è utile perché quando mi trovo all'interno delle loro stanze, dopo che ci siamo presentati a vicenda e iniziamo a conoscerci e a chiacchierare, in base anche alla voce e al loro stato d'animo io riesco a trovare un suono, un accompagnamento musicale o una nota di risonanza che possa essere utile in quel momento e far loro del bene. Questo è anche il fondamento racchiuso nel motto di tutti noi di “Sulle Ali” ovvero ASCOLTARE, AIUTARE E ACCOMPAGNARE!!!

Riporto le parole molto sentite che verso la fine del libro Cicely  pronuncia e che ritengo siano e saranno sia per me che per chi lavora negli hospice ma in generale nella relazione d'aiuto, una guida da seguire e un riferimento indelebile
"Gli operatori sanitari, qualunque fede abbiano o non abbiano, devono offrire prima di tutto se stessi e solo dopo la loro competenza. Cuore e mente. Sembra niente, eppure questo trasforma i pazienti e gli operatori perché fa scoprire la ricchezza del donarsi a vicenda e fa scoprire che solo il dono è il modo giusto di misurare il tempo perché il tempo non si misura mai dall'esterno col ticchettio delle lancette ma solo dall'interno con i battiti del CUORE"
Immensamente grata a te Cicely.

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Fausto Podavini è fotografo professionista da molti anni. E’ stato vincitore del primo premio sezione Daily Life del world Press Photo, uno dei maggiori riconoscimenti a livello mondiale nell’ambito del fotogiornalismo con il suo lavoro “MiRelLa” che racconta la vita di tutti i giorni di una coppia, Mirella e Luigi, uniti da 43 anni e della loro lotta contro una malattia come l’Alzheimer. L’ Alzheimer è una malattia degenerativa che attacca la memoria, il pensiero, il comportamento e le emozioni e si può definire un tipo di demenza. In Italia circa 600.000 persone soffrono di questa malattia. La persone perde pian piano l’autonomia e il senso di sé.

Per Mirella questo ha significato che i compiti di ogni giorno diventavano sempre più lunghi e difficili.

Ad un certo punto Luigi ha smesso di mangiare perché non distingueva più la funzione delle posate e il cibo stesso. Incapace di distinguere il giorno dalla notte, dormiva di giorno e stava sveglio di notte e anche Mirella ha dovuto cambiare i suoi ritmi. Dopo 5 anni di malattia Luigi non riconosceva più sua moglie.

Gli scatti di Podavini raccontano soprattutto la dedizione e l’amore di questa donna che ha assistito il marito fino al termine della sua vita. «Ho fotografato l’Alzheimer -racconta il fotografo- passando per la quotidianità di chi assiste il malato. Un quotidiano fatto di oggetti e segni, gesti e attenzioni, dove giorno dopo giorno l’incredulità fa spazio alla speranza ed i ricordi fanno spazio al dolore. Ho provato a raccontare il morbo attraverso il sentimento di Mirella.… Il lavoro è durato quasi quattro anni e le difficoltà fotografiche sono state niente rispetto a quelle emotive, cercando di diventare invisibili in un ambiente così ristretto, intimo e così conosciuto. E’ una storia di vita quotidiana, è una storia Italiana, ma in realtà è una storia che non ha confini e che colpisce le persone indipendentemente dal sesso, dal ceto sociale, dal paese di provenienza. Ho voluto raccontare l’Alzheimer per una serie di motivi. Perché mi occupo di reportage sociale, perché ho visto in MiRelLa una storia intensa e importante da raccontare e perché documentandomi ho scoperto che c’è molta carenza di informazione sull’argomento».

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