Eunice fu la donna che fece la differenza per le persone con disabilità intellettiva. Nata nel Massachussetts nel 1921, quinta dei nove figli della famiglia Kennedy aveva una sorella, Rosemary che aveva una disabilità intellettiva. Alla fine degli anni 50 queste persone erano emarginate, tenute nascoste, abbandonate a se stesse. Rosemary era una figura “sconveniente” per la famosa famiglia Kennedy ma Eunice le era molto affezionata.
Era cresciuta giocando con lei e facendo molto sport: nuoto, barca a vela, calcio. Aveva potuto apprezzare personalmente le potenzialità che l’attività sportiva offriva a persone come Rosemary e come lo sport potesse unire persone diverse ognuna secondo le proprie possibilità e caratteristiche. Eunice cominciò allora la propria battaglia. Iniziò a visitare gli istituti dove questi ragazzi erano ricoverati, parlò con gli specialisti delle disabilità intellettive e nel 1962 nel giardino di casa sua organizzò attività sportive per loro. Segregati,dimenticati e fonte di imbarazzo per la gente, molti di loro non avevano mai visto una piscina, alcuni neppure l’erba di un giardino. Potevano finalmente unirsi al resto del mondo e attraverso il gioco apprendere le regole di una più serena convivenza. Nel luglio del 1968 negli Stati Uniti d’America a Chicago vennero inaugurati i primi Giochi Internazionali Special Olympics.
Nel suo discorso, in occasione della Cerimonia di Apertura, Eunice Kennedy ha dichiarato che quei Giochi dimostravano “un fatto fondamentale” : “Che le persone con disabilità intellettive possono essere atleti eccezionali e che attraverso lo sport possono realizzare il loro potenziale... Questa nuova organizzazione, Special Olympics, offrirà a tutte le persone con disabilità intellettive la possibilità di giocare, la possibilità di competere e la possibilità di crescere”.
Ciò che è iniziato come la visione di una sola donna si è evoluto in Special Olympics, un Movimento globale che oggi coinvolge più di 4,7 milioni di persone con disabilità intellettiva in 200 paesi, Italia compresa.
“Trent’anni fa dicevano che non eravate in grado di correre i 100mt. Oggi, voi correte la maratona. Trent’anni fa, dicevano che dovevate rimanere chiusi negli istituti. Oggi siete di fronte alle televisioni di tutto il mondo. Trent’anni fa, dicevano che non potevate dare un valido contributo all’umanità. Oggi, voi riunite sullo stesso terreno dello sport nazioni che sono in guerra…” (Eunice Kennedy Shriver Giugno’99 North Carolina)
Stare lì. Per 37 anni. Amando, Imprecando. Pregando. Arrangiandosi. Sperando anche in un miracolo, sì. I protagonisti di questa storia sono i famigliari di Alessandro Guarnieri, il padre e il fratello. La madre no, è morta, non ha resistito 37 anni.
Alessandro Guarnieri aveva 54 anni, Aveva perché ci ha lasciati qualche settimana fa: era in stato di minima coscienza (partendo dal coma, passando per lo stato vegetativo e finendo in quello che osiamo definire mistero). Aveva 17 anni quando la sua vita si trasformò. Gli esperti dicono che ha battuto il record di sopravvivenza in quello stato.
Ma parliamo di Giampaolo e Andrea, il padre e il fratello di Alessandro. In una toccante intervista hanno raccontato alcune cose importanti: 1) Gli avevano dato al massimo 72 ore di vita dopo l'incidente; 2) Avevamo il dovere di curarlo al meglio; 3) Siamo anche stati sostenuti dalla speranza che si compisse un miracolo; 4) La sua era una vita, non una non vita; 5) Rifaremmo tutto daccapo.
Ora leggetevi tutto d'un fiato il seguito: 'Non abbiamo mai avuto un'assistenza pubblica adeguata. Non c'è un vero servizio per questi malati. Noi ci siamo sempre e soltanto dovuti arrangiare. Quando per qualche crisi venivano a prenderlo col 118, dovevamo rispiegare tutto daccapo. Se da un lato c'è il libero arbitrio, dall'altro ci deve essere un sistema che garantisce i livelli adeguati di assistenza: ma non è così. Per avere un materasso antidecubito di ricambio abbiamo atteso 3 mesi, dopo 72 ore dal suo decesso sono venuti a ritirarlo. Se sei lasciato solo, è più facile decidere di farla finita- Anche perché ti senti un peso per i tuoi famigliari'.
Ecco, immergete questo discorso nei dibattiti etici politici di oggi, della Regione Emilia-Romagna che vuole fare come sempre la prima della classe e sforna regole e codicilli per poi mettere in piedi un Comitato etico di 22 persone (che dovranno anche essere pagate) e calendarizza anche il 'sia fatta la tua volontà' del suicidio medicalmente assistito: 42 giorni. Sì che bisogna correre per queste cose qui.
Pazienza, invece, se il materasso da decubito arriva tre mesi dopo.
Ci vorrebbe, cari amici, lo sguardo del profeta Isaia: 'Tu sei prezioso a miei occhi, perché sei degno di stima. Non temere perché io sono con te'.
Il mondo si ribalterebbe.
Dal 2003 Andrea Chiaravalle aveva cominciato a correre le ultramaratone, le gare sopra i 42 chilometri che richiedono molta resistenza fisica. Non sapeva che quella resistenza sarebbe stata messa a dura prova proprio nell’affetto più caro per la figlia Greta. A 8 anni alla bambina viene diagnosticato un tumore al cervello inoperabile.
Quando Greta è mancata ad Andrea è passata la voglia di fare ogni cosa ma poi, racconta: “Ho trovato quel disegno che aveva fatto a cinque anni, in cui ci sono io che corro in montagna. Lei mi vedeva così e quest’anno ho colorato di rosso il cuoricino che aveva messo in vetta”. E così ricomincia a correre. «Ho tenuto la corsa per il silenzio, perché ti mette in contatto con te stesso, con le cose importanti della vita. E corro perché lì la sento. E allora le dico: “Greta, corriamo insieme”». Ha così portato a termine 22 ultramaratone, l’ultima a sessant’anni l’Everest Trail Race, una gara solitaria di 170 km in 6 tappe con 26mila metri di dislivello.
“Dopo 100 km di corsa mi sono trovato davanti l’Everest e mi sono messo a piangere. Non era disperazione e nemmeno gioia, era perché avevo trovato quello che cercavo”. Camminare aveva però anche un altro scopo, raccogliere fondi per l’associazione Vidas che offre cure ed assistenza ai malati che non possono più guarire e la cui cura e sollecitudine aveva sperimentato durante la malattia di Greta. Le sue ultramaratone hanno anche contribuito all’apertura a Milano della Casa Sollievo Bimbi, il primo Hospice Pediatrico della Lombardia. Il desiderio di bene di Andrea non si è fermato lì. Una delle sue passioni è l’arte e la pittura. Dipinge motociclette, automobili, corpi umani, uomini in corsa e spaccati di quella natura che ha incontrato nel suo cammino devolvendo il compenso di alcuni suoi quadri a Onlus che aiutano la ricerca sul cancro…
Buon cammino Andrea!