Senti la parola “apparizione” e il tuo pensiero corre veloce verso Bernadette a Lourdes o verso i tre pastorelli a Fatima; o magari verso l’angelo Gabriele che apparve a Maria a Nazareth. Dato che il 25 marzo era il lunedì della Settimana Santa, quest’anno abbiamo festeggiato l’Annunciazione lunedì 8 aprile: appena conclusa l’Ottava di Pasqua con l’apparizione di Gesù a Tommaso il quale fa l’umanissima esperienza del “vedere per credere” e del “toccare” la carne risorta di Cristo, ecco l’apparizione aprile 24 1dell’angelo e il “sì” di Maria nel “momento di tempo” dell’Incarnazione, giusto 2024 anni fa. È questo il giorno che divide la storia tra un prima e un dopo: prima di Cristo e dopo Cristo. Ma questo è avvenuto e continua ad avvenire oggi, qui, nella mia storia personale. A qualcuno accade un imprevisto dolorosissimo, una malattia, un incidente, un crollo psicologico… e subito ne viene quell’immedicabile e apparentemente inguaribile “mel-ancolia” (che vuol dire “umore nero”). Quand’ecco irrompere nella vita un angelo in carne ed ossa che ha in faccia una contagiosa voglia di vivere. E si torna a respirare.

Lo dice Leopardi, in quei memorabili giorni passati a Pisa nell’aprile 1828 in cui, guardando un giovane volto umano, ha sentito in sé “risorgere” la speranza (cantata in una bellissima e sconosciuta lirica intitolata proprio Il risorgimento). Ecco il brano del Recanatese: “ …Ma veramente una giovane dai sedici ai diciotto anni ha nel suo viso nei suoi moti, nelle sue voci, salti ecc. un non so che di divino, che niente può agguagliare… Quel fiore purissimo, intatto, freschissimo di gioventù, quella speranza vergine, incolume che gli si legge nel viso e negli atti, o che voi nel guardarla concepite in lei e per lei; quell’aria d’innocenza, d’ignoranza completa del male, delle sventure, de’ patimenti; quel fiore insomma, quel primissimo fior della vita; tutte queste cose, anche senza innamorarvi, anche senza interessarvi, fanno in voi un’impressione così viva, così profonda, così ineffabile, che voi non vi saziate di guardar quel viso, ed io non conosco cosa che più di questa sia capace di elevarci l’anima, di trasportarci in un altro mondo, di darci un’idea d’angeli, di paradiso, di divinità, di felicità. Tutto questo, ripeto, senza innamorarci, cioè senza muoverci desiderio di posseder quell’oggetto. La stessa divinità che noi vi scorgiamo, ce ne rende in certo modo alieni, ce lo fa riguardare come di una sfera diversa e superiore alla nostra, a cui non possiamo aspirare”.aprile 24 2

Leopardi aveva appena compiuto trent’anni e la malattia avanzava: scoliosi e cifosi, o forse – diremmo oggi – spondilosi anchilosante. I compaesani lo avevano irriso come “il gobbo di Leopardi”. Insomma: la tempesta. E, improvvisa, balena la Bellezza proprio come un arcobaleno: il supremo segno naturale di una divina caleidoscopica positività che s’inarca, scendendo dal cielo verso la terra, a portare una momentanea quiete dopo la tempesta. Ma alla lunga non tiene, com’egli canta in quella stessa primavera del ’28 in A Silvia. Silvia incarna la speranza di un attimo: Silvia anagramma di “salivi”, “Silvia” “il limitar di gioventù salivi”… Silvia – ahimè – “all’apparir del vero tu misera cadesti”. “Salivi” e presto tragicamente “cadesti”. Nella grande arte sacra cristiana l’arcobaleno è supremo segno di ben più solida e duratura speranza. Un segno oggi ideologicamente rovesciato in bandierina di un ambientalismo che non sa più guardare il creato come “anà-logìa” del Creatore francescanamente “laudato”; vessillo di un pacifismo senza esperienza di pace già donata e mendicata (il saluto di san Francesco è “Il Signore ti dia la sua pace”); stendardo di un pervasivo gender che papa Francesco non si stanca di stigmatizzare come “colonialismo ideologico”.

Lasciamoci incantare da tre momenti in cui i colori dell’iride scendono dal cielo a far rinascere l’ontologica (e per questo inguaribile) certezza di un misterioso bene dentro e oltre le tempeste che il Mistero buono permette nella vita.
1. All’inizio l’arcobaleno che pone termine al diluvio universale, come sigillo dell’Antica Alleanza tra Cielo e terra: splendido il mosaico nel nartece della veneziana basilica di San Marco.
2. Nel nuovo inizio che è l’avvenimento dell’Incarnazione: squisiti i colori dell’iride nell’angelo Gabriele dipinto da Jan van Eyck.
3. Nel Fine ultimo oltre la fine del mondo, come definitivo inizio della resurrezione della carne che avrà occhi capaci di contemplare Dio Trinità riverberantesi da una

Persona all’Altra “come iri da iri”, cioè come arcobaleno da arcobaleno, nella visione donata a Dante alla fine della Divina Commedia. E anche Giotto incornicia coi colori dell’iride il Cristo del Giudizio universale.
Che grande grazia per ciascuno di noi il fatto di esserci imbattuti in un riverbero di questo splendore e di questi iridescenti colori, nei volti di amici che ci stanno accanto hic et nunc: qui e ora.

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Didascalie:
L’arcobaleno alla fine del Diluvio universale, mosaico del nartece nella basilica di San Marco a Venezia
Annunciazione di Jan van Eyck, National Gallery di Washington.
Cristo Giudice, affrescato da Giotto nella controfacciata della Cappella degli Scrovegni di Padova

di Roberto Filippetti www.filippetti.eu

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