Il dolore , la speranza, il pregiudizio e l’amore per gli altri albergano nell’animo umano in ogni epoca. Cambia lo scenario nel quale l’individuo si muove, cambiano le parole che si usano per indicare ciò che accade e come noi reagiamo agli eventi ma il cuore, quello non cambia. Questa storia tristemente splendida e piena di speranza narra di Letizia, una bambina con un cromosoma in più, nata “nel giardino dei bambini incompleti”.
Racconta del padre Nevio, alcoolista ed irresponsabile, della madre Valentina che il dolore per questa figlia diversa porta a rinunciare alla propria vita e di due splendidi nonni, Primo e Nora. Primo giganteggia non solo perché realmente grande e grosso. Lui, con un passato da pugile e una smisurata passione per tutti gli avvenimenti pugilistici ha da subito una tenera, serena accettazione di questa nuova vita. “Il nonno pugilista prese tra le mani enormi la bambina..scostò con un dito la copertina che l’avvolgeva per vedere meglio il viso. “A me- disse- sembra la più bella di tutte”.
Fa da sfondo alla storia la città di Trieste, l’Istria e il dramma dell’esodo che Primo ha sofferto in prima persona ma anche le tante storie di combattimenti tra pugili poco conosciuti che hanno lottato spesso a riflettori spenti, storie che il nonno racconta alla nipotina per farla addormentare. Primo e Nora devono affrontare pregiudizi, luoghi comuni inespugnabili sulla diversità della piccola Letizia e meschinità di ogni genere ma incontrano anche persone di buon cuore che rendono, per quanto possibile, più lieve il loro cammino. Il messaggio fondamentale del libro, come ha commentato l’autore sta proprio nelle parole che nonno Primo dice alla nipotina: “Non importa perdere, piccola. Si può perdere anche tutta la vita. Capita. Importa come si perde. Come”
La politica si spacca, come fa da anni, sul fine vita. Stavolta lo spunto è arrivato dal Veneto, dove il consiglio regionale, per un voto, ha bocciato il regolamento che in qualche modo doveva regolamentare, a livello medico, il cosiddetto diritto alla morte volontaria. Lasciamo da parte la politica e le sentenze giudiziarie e proviamo a parlare di noi due. Di me, di te. Io che scrivo e tu che leggi siamo i veri protagonisti di questa partita. Perché sia io che te, ed è inutile toccare amuleti vari, arriveremo in un modo o nell'altro al fine vita.
Ma bisogna intendersi su che cosa sia il fine vita ed è da questi frequenti fraintendimenti, più o meno voluti, che nasce l'equivoco generale. Nel corso del nostro percorso naturale può arrivare il momento in cui possiamo dirci, sottovoce o urlando:1) Non ce la faccio più;2) La mia vita non ha più senso. Parliamo di malati terminali, parliamo di disabilità grave o gravissima, parliamo di uno che non ce la fa più e stop, magari perché ha perso il lavoro o la moglie o chissà cosa.
C'è invece una domanda che ci si pone nel caso che una persona sia nel limbo di un coma, di uno stato vegetativo, di minima coscienza, di qualcosa di misterioso. Il quesito è il seguente: 1) Ci sono o non ci sono? Chissà se chi è in stato vegetativo se la fa questa domanda; ma gli altri, noi, se la pongono/ce la poniamo di sicuro: c'è o non c'è? E se c'è: dov'è?) Non illudiamoci però che una legge, una norma, un trattato scientifico possa rispondere a questi giganteschi quesiti e stati d'animo della vita. Vita che è più forte, straripante, travolgente di qualsiasi tattica umana che vuole piantare tranquillizzanti paletti. La vita non va tranquillizzata, la vita non è bella o brutta, la vita è vita. Stop. Ma con chi urla che ormai la sua vita non ha più senso, io e te che facciamo? Mi vien da dire: prima di andare da un medico o da un legislatore, intanto gli stringiamo, forte, la mano, Lo accarezziamo. Stiamo con lui/lei. C'è un paradigma (favolosa parola utilizzata da Stephen Covey nel libro 'Sette regole per avere successo: è il sottinteso, il non detto ritenuto certo) che si può cambiare: non ci sono vite di serie A o di serie serie B, un malato di Sla può avere una vita da Champions League rispetto a un milionario che passa l'estate in giro con il suo yacht. Succede, e noi del Club L'inguaribile voglia di vivere tocchiamo spesso con mano che succede. O almeno: può succedere. Ecco perché, se può succedere, lo sforzo che io, tu e di conseguenza il messaggio che dobbiamo portare in ogni luogo, in ogni dove, è che ci può essere sempre (SEMPRE!) il modo di dare un significato a un'esistenza.
Il vero sforzo da fare è questo. Anche se sei in carrozzina o attaccato a un respiratore puoi essere felice, vivere felice!. Come si fa: non c'è una formuletta o una ricetta magica: te la giochi. Ma la vita è un attimo che va giocato, vissuto, ripetutamente, per il tempo che Dio o il mistero ti dà. Cosa c 'entra tutto ciò con la legge bocciata in Veneto? Forse nulla, potrà dire qualcuno, Ma se cambiamo, alla Covey, paradigma, in realtà questa roba qui diventa il pilastro della questione.
di Massimo Pandolfi
Dal social di Annalisa Teggi:
Il tetto di casa divelto e «la culla è stata la prima cosa a volare via». Risucchiata nel tornado che nella città di Clarksville (Tennessee) ha fatto 3 morti e dozzine di feriti.
Un incubo fatto realtà per una giovane mamma di 22 anni, Sidney Moore, durante il riposino pomeridiano. Ha visto il figlio di 4 mesi finire nel vortice. «Non c'è stato alcun segnale» ha raccontato Sidney che è riuscita proteggere l’altro figlio di poco più di un anno.
Il padre - che si chiama Aramis! - si è lussato una spalla nel tentativo di trattenere la culla, ma non ce l’ha fatta.
E poi la sorpresa. «Lo abbiamo cercato sotto la pioggia battente, sono stati i soccorritori a trovarlo. Era su un albero illeso e sembrava giacere in una piccola culla fatta di rami».
È sempre la mamma a commentare: «È stato come se qualcuno lo avesse posato delicatamente su quell'albero…forse un angelo».
La vasca da bagno di casa loro è stata trovata a un miglio di distanza, il tetto è finito sopra un parcheggio pubblico. Il bimbo volato via con la culla ha riportato solo un taglio in viso.
I figli ci scappano di mano, la nostra protezione è una stretta impotente. Ci lussiamo, ci proviamo. Li attendono tempeste, squassi, ferite. Ogni eventualità è contemplata, dal miracolo di attraversare illesi un tornado al mistero di morti precoci. Miracolo in ogni caso è la certezza di una compagnia del cielo che non ci molla (genitori e figli), qualunque cosa accada.