“No, questo è troppo…”: ricordo che reagii così la prima volta che visitai la chiesa di Sant’Antonio in Polesine, a Ferrara. Le monache di clausura la aprivano a turisti e pellegrini solo due pomeriggi alla settimana. Una di loro, che teneva la visita guidata, disse che questo era un caso unico al mondo: un affresco dell’epoca di Giotto in cui l’anonimo pittore dipinge Gesù che sale la croce di sua iniziativa, con tale impeto che il perizoma pare agitato dal movimento.
Mi pareva decisamente troppo! Questo povero Cristo lungo tutto il Duecento era stato raffigurato in croce come “Patiens”, stravolto dal dolore: aveva sudato sangue nell’orto degli ulivi, era stato flagellato, coronato di spine, lungo la Via Crucis era così spossato che c’era stato bisogno del Cireneo… Com’è possibile che, giunto lì sul Golgota, si protende verso la croce salendovi di sua volontà, liberamente e decisamente? Altra domanda: è davvero un caso unico al mondo?
Ne parlai con un’amica studentessa di Storia dell’arte, che si mise in “caccia”, trovò una ventina di esempi di questa iconografia comunque rara, presente soprattutto in Armenia e Macedonia (solo tre o quattro evenienze in Italia) e ci fece la tesi di laurea.
Cosa vuol comunicarci l’anonimo pittore?
L’uomo Gesù di Nazareth aveva implorato “Passi da me questo calice”, ma ora dice al Padre (e a noi, sulla scia di quando ci insegnò il Padre nostro): “Non la mia ma la Tua volontà sia fatta”. Negli stessi anni dell’affresco di Ferrara, Dante Alighieri ne ha detto il motivo: “E ‘n la sua volontade è nostra pace” (Par. III, 85). Una pace offerta a chi liberamente “passa” per la strettoia dolorosa permessa dal Signore e l’abbraccia, curioso di vedere il misterioso bene che dimora oltre. Pasqua significa “passaggio”. Anche T.S. Eliot, in “Mercoledì delle Ceneri”, cita questo verso di Dante: «E 'n la Sua volontade è nostra pace». Il quale Dante altrove, sfiorando l’ossimoro, canta “quella voglia…/ che menò Cristo lieto a dire – Elì – / quando ne liberò con la sua vena” (Purg. XXIII,73-75).Il Figlio grida al Padre “Elì” – Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato – eppure è “lieto” perché lasciandosi svenare ci libera.
Qui Dante sintetizza nella parola “lieto” la profondissima riflessione teologica di san Tommaso d’Aquinino:« il corpo perfetto spirituale di Cristo non si ribellò mai alla volontà del suo spirito, tanto meno nell’ora della morte redentrice». L’Aquinate decrive con precisione l’immane dolore patito da Gesù coi chiodi che colpiscono le terminazioni nervose direttamente in contatto con i centri cerebrali del dolore, e fu sempre lucido, e gridò, «ma nel contempo il suo cuore si dilatava nella dimensione del gaudio. La sua anima ricolma dicarità, inebriata dalla bellezza e dalla efficacia salvifica del Sacrificio, s’innalzava ad uno stato di supremo empito d’amore trascendente la stessa sofferenza fisica».
Grazie a Dio abbiamo il dono di vedere persone fragili come tutti noi, segnate da croci davvero pesanti, che hanno in volto il riverbero di questa “letizia”, di questo misterioso gaudio.
IMMAGINI:
Affresco di anonimo del primo ‘300 (intero e dettaglio), monastero di Sant’Antonio in Polesine, Ferrara Guido da Siena, 1270 Museum Catarijnen Conventum Utrecht
Miniatura medievale
di Roberto Filippetti www.filippetti.eu
Il nostro amico Fulvio De Nigris, papà di Luca rimasto per otto mesi in stato vegetativo, ci ha raccontato uno dei tanti incontri nati tra le mura della Casa dei Risvegli Luca De Nigris, struttura pubblica dell’Azienda Usl di Bologna nella quale opera l’associazione “Gli amici di Luca”.
“Tutte le persone che seguiamo, con le quali veniamo in contatto rimangono nel cuore. I dimessi dalla Casa dei Risvegli affrontano un percorso di riabilitazione complesso che nell’80% li riporta a casa “risvegliati” , intendendo con questa parola disabilità leggere o più severe, e nel 20% tornano sempre a casa o in strutture di lungoassistenza. In entrambi i casi c’è un percorso di accompagnamento, di condivisione, dove anche gli inguaribili non sono incurabili. Ermanno rientrava in quel 20% che non ha avuto risultati apprezzabili, nel senso del risveglio pieno, ma sempre curato amorevolmente dalla moglie Monica in un rapporto di comunicazione diretto, empatico.
È stato dai noi 9 mesi e nel 2009 con grande soddisfazione di sua moglie e di suo figlio è tornato a casa. Una casa riadattata dove la sua vita tra alti e bassi è proseguita con grande vitalità, allietata da tante relazioni, da tanti stimoli. Nel frattempo è arrivato un nipotino che ha imparato a conoscere il nonno e a farlo sorridere. Dall’anno scorso è entrato e uscito dall’ospedale sempre in punto di morte. Ma la moglie tenacemente lo ha sempre voluto portare a casa dove lo ha gestito normalmente e in sicurezza.
Nei giorni scorsi purtroppo ci ha lasciati. Ermanno ci ha donato tanto e sua moglie Monica ci ha insegnato a capire un nuovo modo di comunicare e ad avere rapporti con lui.
È possibile, con amore, anche con difficoltà riallacciare quel filo interrotto con la vita, mai da soli, ma accompagnati in un quotidiano diverso che affronta nuovi percorsi di vita.
Mi rimangono le parole che Monica scrisse quando Ermanno tornò a casa, appena dimesso dalla Casa dei Risvegli Luca De Nigris: ”Sarai un po’ spettinato, ma non sentirai né la fame né la sete e sarai comodissimo, avrai il tuo occhio parlante, vivo, e io salvaguarderò tutto ciò che resta di te”.
E così è stato. Ciao Ermanno.
Per Paolo Falessi, chitarrista della band “Ladri di Carrozzelle” fare delle diversità un fatto normale è lo scopo che lo muove da circa trent’anni. “Noi Ladri -racconta- siamo una ventina di persone intercambiabili, unite dalla musica e soprattutto siamo quello che non ti aspetti perché siamo bravi nonostante tutto”. Il loro debutto risale al 1989. Paolo è l’unico dei fondatori rimasti perché molti, a causa delle loro patologie oggi non riescono più a suonare. Ma questa bella storia è andata avanti nel tempo evolvendo giorno per giorno.
Questo gruppo di amici romani è diventato una finestra aperta su un mondo dove tante finestre non si aprono o non si vogliono aprire. Paolo racconta: “ Facciamo radio e televisione e, quando ci chiamano, ci esibiamo nei centri per persone con disabilità o nelle feste private promosse per fare beneficienza o nelle scuole. Adesso siamo una ventina e abbiamo dei laboratori, una specie di vivaio dove facciamo crescere sempre nuovi ragazzi. Fino ad una decina di anni fa, facevano parte del gruppo soltanto persone in carrozzina, ma poi abbiamo aperto anche a quelle con patologie psichiche, una scommessa folle che si è rivelata vincente.
Ci sono ragazzi che suonano con me e che si divertono allo stesso modo, sia di fronte a 40 che a 40.000 persone. Sono straordinari perché non hanno filtri e pensano di fare sempre la cosa più bella del mondo … Le disabilità sono per noi delle opportunità che vengono affrontate, risolte e ci danno la possibilità di fare cose straordinarie.” I Ladri hanno infatti partecipato al programma dedicato al sociale “ O anche no” andato in onda su Rai 2 ma hanno girato il mondo: Brasile, Stati Uniti, Africa. Sono stai al Parlamento Europeo, come eccellenza in Europa e a Washington per il riconoscimento come eccellenza italiana.
“Per quanto mi riguarda -dice Paolo- a cinquant’anni finiti, non avrei mai potuto andare a suonare in Uganda per una settimana se non ci fossero stati i Ladri di Carrozzelle. Insomma, quelli che dovrebbero essere gli “sfigati” sono quelli che si tolgono delle soddisfazioni straordinarie e danno delle opportunità anche agli altri. La frase che mettiamo spesso nei nostri video durante i concerti è questa: quando si sogna da soli è poca cosa, ma quando si sogna in tanti è la realtà che comincia ad agire”.