Ho ascoltato per la prima volta Don Luca ad un incontro organizzato in occasione della festa di fine anno della scuola in cui lavoro; non avevo ancora letto il suo libro, ma da subito sono rimasta colpita dall’umanità e dalla verità che trapelavano dalle sue parole. Questo giovane prete bresciano di 36 anni racconta come nasce la sua vocazione al sacerdozio: da una degustazione di formaggi a St. Moritz. Faceva il cameriere in un hotel e un giorno, alla fine di una degustazione meravigliosa, si avventa voracemente sul formaggio e sul vino. Il caposala fa notare a Luca che proprio non sa gustare il vino e il formaggio perché voleva prendere tutto e subito.
Poco tempo dopo incontra un gruppo di sacerdoti della Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo e rimane subito colpito proprio perchè loro sapevano davvero gustarsi la vita e così inizia a desiderare di appartenere a ciò a cui appartenevano loro.
Nel 2015 parte missionario per il Cile, nel 2017 va in Kenya e nel 2018 viene ordinato sacerdote. Nel 2021 a Nairobi accade un incidente che cambia la sua vita: mentre è in moto, un fuoristrada lo travolge, causando una grave ferita alla gamba sinistra.Viene trasportato in un ospedale africano per essere “aggiustato alla buona”, successivamente viene trasferito in Italia e a 33 anni si troverà costretto ad amputare l’arto.
E’ un libro breve ma intenso, è un viaggio fatto di sangue e dolore, ma pieno di luce e speranza. “La vita è un viaggio, un viaggio di ritorno a Colui che ci ha creati. Solo in Cristo la vita vale la pena di essere vissuta. Siamo creati per il paradiso. Io, un piede in paradiso, già l’ho messo” – “La malattia non va spiegata né capita: va accolta come un ospite inatteso pronto a stravolgere le nostre vite, a ridestarci dal torpore, a portarci un bene maggiore”.
Don Luca davanti al dolore ha provato rabbia, ha fatto davvero fatica ad accettare di aver perso una gamba, si arrabbia con Dio che non lo ha ascoltato nella sua richiesta di miracolo. Che cosa lo ha fatto ripartire? Lo sguardo di un’amica che dopo l’amputazione lo guarda con due occhi pieni di gratitudine come si guarda un dono e così si riscopre voluto bene, amato. Oppure la compagnia dei medici, dei sacerdoti, dei malati che ha incontrato in ospedale e che lo hanno accompagnato, quelli che lui definisce “la carezza di Dio”, perché questa è l’amicizia: il mistero della tenerezza di Dio che si fa presenza. Nulla è risparmiato, neanche l’esperienza del deserto: Don Luca talvolta non riesce a pregare, si sente solo con i suoi pensieri, con il suo dolore e l’umore altalenante.
Ma ecco che un amico sacerdote celebra due volte la Messa e recita il breviario due volte al giorno per fare anche la sua parte, un amico medico gli porta ogni mattina caffè e brioches per fare colazione insieme, la sua famiglia che, nel silenzio e nella carità, si prende cura di lui e così il cuore si riempie di gratitudine e di pace. Il dolore inizia a cambiare aspetto: la fatica resta ma diventa offerta: “La croce può essere rifiutata o abbracciata, ma non eliminata. Abbracciarla significa offrire le proprie sofferenze, così come ha fatto Gesù. L’offerta è la preghiera più bella…”. “Gesù ha lavorato, ha predicato, ha fatto miracoli e poi ha portato la croce su in cima al Calvario, un passo alla volta, ed è morto.Dopo tre giorni è risorto.
Da quel momento in poi, il dolore non è più obiezione, non può esserlo… il dolore è il dono dell’intimità con Cristo sofferente”.
Il libro si conclude con questa frase: “Non sono contento di aver perso una gamba… sono certo che Dio ha permesso che questo accadesse perché potessi essere più vicino a Suo Figlio. Il senso della vita non è soffrire il meno possibile, ma lasciarsi abbracciare da Colui che ci ha amati di un amore eterno e, in questo abbraccio, diventare un a cosa sola con Lui”.
Penso ai tanti amici del Club che mi testimoniano questa verità e chiedo la grazia di una compagnia che possa aiutarmi e sostenermi in questo viaggio di ritorno a Colui che ci ha creati.
di Gianpaola Ferrario