Dagli amici di Zero DIciotto:
Carissimi, conoscete già la storia “NON C’E’ POSTO PER VOI”, scritta da don Bruno Ferrero? Avete voglia di ascoltarla?
Guido Purlini aveva 12 anni e frequentava la prima media. Era già stato bocciato due volte. Era un ragazzo grande e goffo, lento di riflessi e di comprendonio, ma benvoluto dai compagni. Sempre servizievole, volenteroso e sorridente, era diventato il protettore naturale dei bambini più piccoli. L’avvenimento più importante della scuola, ogni anno, era la recita natalizia. A Guido sarebbe piaciuto fare il pastore con il flauto, ma la signorina Lombardi gli diede una parte più impegnativa, quella del locandiere, perché comportava poche battute e il fisico di Guido avrebbe dato più forza al suo rifiuto di accogliere Giuseppe e Maria: “Andate via“.
La sera della rappresentazione c’era un folto pubblico di genitori e parenti. Nessuno viveva la magia della santa notte più intensamente di Guido Purlini. E venne il momento dell’entrata in scena di Giuseppe, che avanzò pian piano verso la porta della locanda sorreggendo teneramente Maria . Giuseppe bussò forte alla porta di legno inserita nello scenario dipinto. Guido, il locandiere era là, in attesa. “Che cosa volete ? “, chiese Guido, aprendo bruscamente la porta. “Cerchiamo un alloggio“. – “Cercatelo altrove, la locanda è al completo“. La recitazione di Guido era forse un po’ statica, ma il suo tono era molto deciso. “Signore, abbiamo chiesto ovunque invano. Viaggiamo da molto tempo e siamo stanchi morti. “Non c’è posto per voi in questa locanda“, replicò Guido con faccia burbera. “La prego, buon locandiere, mia moglie Maria, qui, aspetta un bambino e ha bisogno di un luogo per riposare. Sono certo che riuscirete a trovare un angolino. Non ne può più“. A questo, punto per la prima volta, il locandiere parve addolcirsi e guardò verso Maria. Seguì una lunga pausa, lunga abbastanza da far serpeggiare un filo di imbarazzo tra il pubblico. “ No! Andate via! “ sussurrò il suggeritore da dietro le quinte. “ No ! “ ripetè Guido automaticamente – “Andate via!“. Rattristato Giuseppe strinse a sé Maria, che gli appoggiò sconsolatamente la testa sulla spalla, e cominciò ad allontanarsi con lei. Invece di chiudere la porta, però, Guido il locandiere rimase sulla soglia con lo sguardo fisso sulla miseranda coppia.
Aveva la bocca aperta, la fronte solcata da rughe di preoccupazione, e i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime. Tutt’a un tratto, quella recita divenne differente da tutte le altre. “Non andar via, Giuseppe“ gridò Guido. “Riporta qui Maria”. E, con il volto illuminato da un grande sorriso, aggiunse: “Potete prendere la mia stanza“. Secondo alcuni, quel rimbambito di Guido Purlini aveva mandato a pallino la rappresentazione. Ma per gli altri, per la maggior parte, fu la più natalizia di tutte le rappresentazioni natalizie che avessero mai visto.
E noi, che cosa avremmo fatto? Ci saremmo uniti al gruppo degli spettatori che pensarono che Guido aveva reso quella recita la più natalizia di tutte le recite natalizie?
Quando non restiamo indifferenti verso i fratelli che soffrono, quando non giriamo lo sguardo da un’altra parte, dicendo “la cosa non mi riguarda”, quando ci sporchiamo le mani per dar da bere a chi ha sete, per assistere chi è malato, quando stiamo accanto a chi è disperato, a chi è povero, a chi è ai margini della società, a chi è stato privato di ogni dignità, quando tendiamo la nostra mano a chi ci chiede qualcosa da mangiare, anche noi offriamo “la nostra stanza” ai fratelli!
Signore, non è facile – lo sappiamo - ma vogliamo “offrirti la nostra stanza”, proprio come fece Guido! Abbiamo bisogno del tuo amore! Proprio come fecero i pastori, che vennero fino a Betlemme, anche noi, oggi, vogliamo venire da Te. La strada è in salita: va superata la vetta dell’egoismo, non bisogna scivolare nei burroni dell’indifferenza, ma Tu, Signore, sei lì ad attenderci. Solo venendo da Te, potremo accorgerci che Tu, deposto in una mangiatoia, sei il pane della vita. Abbiamo bisogno del tuo amore: da Te amati, potremo anche noi amare e prendere per mano i fratelli.
E, allora, sarà veramente Natale! Ogni giorno!!!
Daniel Barenboim è un pianista e famoso direttore d'orchestra argentino con cittadinanza spagnola, israeliana e palestinese.
Nel 1999 insieme allo studioso palestinese Edward Said ha fondato a Weimar la West-Eastern Divan Orchestra, un’orchestra che riunisce giovani musicisti provenienti da paesi e culture storicamente nemiche: Israele, Egitto, Giordania, Siria, Libano e Palestina in uno straordinario laboratorio di integrazione e dialogo.
Come afferma infatti lo stesso Barenboim: “non è sufficiente pensare che un’orchestra possa rappresentare un magnifico progetto sociale e che questa idea possa funzionare da sola; può essere una grandissima motivazione, ma poi devono vedersi i risultati. Nel momento in cui la Divan Orchestra sale sul palcoscenico il pubblico è sicuramente pieno d’ammirazione per il coraggio di questi giovani, ma alla seconda nota ha già dimenticato questo aspetto e vuole ascoltare solo della buona musica, suonata al massimo livello possibile”. Quindi passione per una musica capace di abbattere barriere considerate insormontabili, capace di creare ponti incoraggiando le persone ad ascoltare la narrativa dell’altro, ma al tempo stesso grande professionalità e lavoro. il primo concerto della Divan Orchestra è stato a Ramallah, in Cisgiordania il 21 agosto 2005 con il sostegno delle Ambasciate di Germania, Francia e soprattutto Spagna, che ha dotato tutti i musicisti di un passaporto diplomatico.
"Questo concerto non è diverso da tanti altri, dal punto di vista musicale - ha detto Barenboim - ma si potrebbe scrivere un libro sui problemi di tipo logistico". Musicisti arabi e israeliani sono giunti infatti a Ramallah con due diversi cortei diplomatici, attraversando frontiere blindate e vincendo paure, sospetti e difficoltà di ogni tipo.
Il percorso della Divan Orchestra non è stato certo semplice perché tutte queste difficoltà si sono moltiplicate nel corso di questi anni. I palestinesi non hanno passaporto e quindi è complicatissimo farli uscire dai propri confini e comunque l’integrazione tra persone con storie così diverse è un percorso da costruire con pazienza senza perdere la speranza. Uno degli obiettivi dell’orchestra è stato quello di esibirsi in tutti i paesi rappresentati dai suoi musicisti. I concerti a Rabat, Doha, Abu Dhabi e a Ramallah sono stati passi avanti verso la realizzazione di questa aspirazione. Purtroppo la grave situazione attuale ha azzerato l’attività dell’orchestra.
La grandezza di questo tentativo ci ricorda che la musica da sola non può risolvere i conflitti ma garantisce all’individuo il diritto e l’obbligo di esprimersi pienamente mentre ascolta il suo prossimo. Le Nazioni Unite hanno proclamato Daniel Barenboim “messaggero della pace” e hanno riconosciuto la West-Eastern Divan Orchestra come difensore mondiale della comprensione culturale per promuovere la tolleranza, la comprensione e l’unità tra i popoli di diverse identità culturali e religiose, la prima orchestra a ricevere questo onore.
“I nostri antichi trovavano opportuno raffigurare il Bambin Gesù accanto ai simboli della Passione. Se vogliamo comprendere quella nascita dobbiamo pensare al destino che essa contiene in sé, a tutta la storia che da qui prende origine. È una storia che conosce il dolore più straziante, ma non è una storia di dolore. È una storia di amore, di donazione, di grazia, di verità, di luce e di infinito” (Zeno Davòli).
Tre esempi, fra i tanti. Giotto affrescando la Natività nella Cappella degli Scrovegni dissemina non pochi “segni” che preludono alla Passione. L’aureola del Bambino è crucesignata; Giuseppe si sorregge il capo nel canonico atteggiamento della melancolìa, ed ha una greve mestizia stampata negli occhi socchiusi; l’asinello è il “sorcino crociato”, connotato dalla lunga fascia nera che corre dal capo alla coda, ortogonalmente intersecata “a croce” sul dorso; Maria che qui sta per deporre il bambino in fasce nella mangiatoia è quasi identica (nel gesto, nell’acconciatura e nel volto dall’espressione trepidante) all’Addolorata che abbraccia il Cristo morto il quale trentatré anni dopo verrà fasciato nella sindone e deposto nel sepolcro nuovo. Giotto è davvero geniale nel celare questi segni in modo “dis-creto”, ovvero offerto all’intelligenza di chi ha il dono di “dis-cernerli” al termine di un’assidua contemplazione.
Altri due pittori sono più espliciti, forse per timore che ci si fermi ad una lettura epidermica e sentimentale del Natale. Benedetto Bonfigli (1420-1496), in una tavoletta conservata alla National di Londra, ci appare straniante e “pro-vocatorio” quando non teme di piazzare Cristo Crocifisso (per di più imberbe) sul Golgota alla destra dell’Epifania. Colmo di sconfinata mestizia è il volto di Maria. Il primo dei Magi ha già posato a terra la corona regale e si è inginocchiato per adorare il Re dei re che si è fatto Bambino, ma con la coda dell’occhio Maria sembra vedere l’irta corona di spine di una ben diversa regalità, quella del Servo sofferente. Il neonato Gesù appare già in grado di stringere il dono che – identico a quello degli altri due Magi – ha forma di pisside o di antico ostensorio e, poco più in là, dal costato squarciato come pure da mani e piedi trafitti prorompono rossi fiori di sangue in prospettiva eucaristica. Immedesimiamoci nel cristiano che prega davanti a questa tavoletta “pan-oramica”: è aiutato a far memoria sinteticamente di tutto l’essenziale. Il Verbo incarnato che si è epifanizzato nel Bambino, e che è morto in croce, permane e continua ad offrirsi al nostro sguardo adorante nel sacramento eucaristico.
E allora che paura abbiamo? Altrettanto sorprendente è la Natività dipinta giusto cinquecento anni fa – nel 1523 – da Lorenzo Lotto, una tavoletta di cm. 46x35 conservata alla National di Washington: come già in Giotto così qui i segni della Passione sarebbero discreti (le braccia incrociate sul petto di Maria, il vincastro a forma di “T” fra le braccia di Giuseppe, i fasci di luce che s’irradiano “a croce” dalla testa di Gesù bambino) se non fosse per quel vistoso crocifisso rinascimentale appoggiato su una mensola in penombra in alto a sinistra, come in tante case di allora e di oggi. E proprio questa dimensione domestica e familiare rende il tutto commovente e per nulla sconcertante. Come giusto ottocento anni fa, nel 1223 a Greccio, san Francesco “inventò” il presepe vivente al fine di immedesimarsi nell’Avvenimento, così questa tavoletta del Lotto aiuta a contemplare i due momenti fondamentali dell’Incarnazione e della Redenzione attraverso la croce: una storia intera che rende la nostra vita integralmente umana, guarita, sana, qualsiasi sia la circostanza inevitabile che ci è data.
di Roberto Filippetti www.filippetti.eu