Sabato 18 dicembre, su Radio 1 RAI, Francesca De Carolis ha intervistato Massimo Pandolfi nell'ambito del programma "Diversi da chi?". Si è parlato sia del libro "L'inguaribile voglia di vivere" sia dell'omonimo Club, citando i sogni realizzati di due persone disabili.
Si ringrazia la redazione della trasmissione per averci concesso di pubblicare questa registrazione audio.
Quella che vi proponiamo, qui di seguito, è la testimonianza che Andrea Carboni, figlio di Angelo, malato di SLA, ha letto a Pattada (in Sardegna) il 18 novembre 2010, durante la presentazione del libro "Inguaribile vagabondo", scritto dal padre stesso.
Sono ormai passati sette anni da quando a mio padre è stata diagnosticata la Sla.
La medicina è impotente di fronte a ciò che ci si presenta davanti. E impotente, allo stesso tempo, è stata la mia reazione, così come credo anche quella di mia sorella.
All’inizio si finge di non capire, trovandosi di fronte qualcosa di troppo grande, forse di troppo difficile da affrontare, e si sceglie di viverlo in maniera distaccata, si è passivi di fronte all’evolversi della malattia, con la paura di vedere in maniera oggettiva quella che è la reale situazione che si presenta di fronte a noi e di non poter essere in grado di reggerla.
Spesso ci sentiamo deboli in questa sfida con la vita.
Con l’evolversi della patologia, ci troviamo di fronte a una scelta: abbiamo una vita quotidiana con cui fare i conti.
Mi vengono in mente i primi mesi del 2004.
Ricordo che mio padre inizialmente aveva ancora forza e consapevolezza del proprio corpo, ma pian piano la stava perdendo.
Ricordo tutto di quel periodo, una lenta agonia.
La malattia non dava tregua, ormai mio padre stava lentamente perdendo la propria autonomia, stava imparando a chiedere aiuto. Era un dolore pensare al domani, non riuscivo a immaginare un domani.
Rimaneva, ad un uomo che aveva sempre fatto dell’esigenza alla libertà la saldezza e il cardine della propria vita, solo il dolore.
Il mondo mi stava crollando davanti, forse neppure mia madre sapeva di questa mia sensazione, perché spesso mi chiudevo in me stesso e preferivo fingermi indifferente nei confronti di mio padre, nonostante stessi in realtà chiedendomi il perché di tutto questo.
Non ero presente a casa il momento della prima crisi respiratoria di mio padre.
Sono venuto a saperlo solo dopo due o tre giorni. Mi sono sempre sentito in colpa di non esserci stato, non so il perché, probabilmente perché questi avvenimenti ti fanno percepire, ti fanno comprendere come la vita possa essere portata via in un istante.
Non mi sarei mai perdonato se fosse avvenuto il peggio, anche perché, e mi costa ammetterlo, forse fino a quel momento non credevo valesse la pena di vivere in una simile condizione, pensavo fosse preferibile la morte, pensavo fosse preferibile negarsi la vita piuttosto che negarsi la libertà.
Da quel momento ho capito, vedendo la forza di volontà e il desiderio di mio padre, che non era una negazione di libertà, ma la sua era solo una sfida con la vita.
Col rallentare del corpo di mio padre, la sua mente accelerava. Mi accorgevo di ciò, perché vedevo in lui una sorta di rassegnazione, ma ora dopo sette anni traduco questa sua rassegnazione non come debolezza, non come un’arresa di fronte alla vita, ma come un’esigenza di poter percepire questa esperienza come un’affermazione della vita: una vita che deve essere amata, ma soprattutto preservata.
Ovviamente all’inizio siamo rimasti tutti spaesati e abbiamo dovuto reimpostare la nostra quotidianità, soprattutto mia madre, su basi diverse.
Vedevo mio padre mettere da parte qualsiasi forma di individualismo, di egoismo e, nonostante la malattia, lo vedevo mettersi sempre al secondo piano, mettere le sue esigenze dopo le nostre.
Ormai era giunto ad una forma di accettazione, di consapevolezza della sua dipendenza da coloro che in lui avevano sempre trovato un punto di riferimento.
Io credo che la forza di mio padre, la sua più grande vittoria, stia proprio nell’accettazione di questa dipendenza.
Credo che mio padre, e sono orgoglioso di ciò, abbia vinto la sfida più grande: ogni giorno rappresenta per lui, infatti, un riscatto nei confronti della vita, un riscatto nei confronti dei limiti imposti da questa terribile situazione.
Lui è la dimostrazione di come l’amore per la vita possa prevalere e addirittura sconfiggere l’incombenza del dolore.
Ovviamente non mi sento di dare nessun giudizio sul libro in sé, in quanto sarebbe forse di parte, ma mi sento di consigliarlo non tanto dal punto di vista letterario, quanto perché credo che possa rappresentare la sintesi perfetta di questo itinerario, di questo viaggio che porta la negazione della libertà a divenire affermazione della vita.
Credo che possa insegnarci a percepire e capire realmente il vero valore dell’esistenza, e possa farci capire come essere attivi di fronte ad essa, avere la forza di affrontare di petto ogni difficoltà.
(Andrea Carboni)
- Gioca nella squadra nazionale di pallacanestro
- Progetta le motociclette in un'azienda italiana che corre nel campionato mondiale
- Sta finendo un anno di Servizio Civile Volontario
- Gira tutti i teatri d'Italia, sempre con il tutto esaurito
- Canta in un coro gospel
- E' un pittore affermato
- Uno dei suoi libri è entrato nella dozzina di finalisti del Premio Strega
Chi c'è dietro a questa lista che sembra sottratta a Fabrizio Frizzi prima di una serata dei "Soliti ignoti"?
Storie comuni dell'Italia di oggi. Storie di persone accomunate da due cose:
- sanno dove trovare il sugo della vita;
- la disabilità fa parte della loro vita.
Sembrerebbero due condizioni antitetiche: la gente - anche chi arriva a Montecatone dopo aver avuto una lesione midollare - tende a pensare che la vita con una disabilità non avrà più "sugo". Chi lavora a Montecatone o a Casa Guglielmi, invece, sa bene quanto "sugo" ci possa essere, anche nelle vite in cui è entrata una disabilità.
Un ottimo motivo per invitare la cittadinanza imolese a conoscere da vicino queste storie: alcune delle persone che si nascondono dietro ai profili sopra ricordati (e molte altre) il 9 novembre hanno animato una "tavola rotonda" piena di buon umore e voglia di vivere.
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