Due fratelli. Un padre e una figlia. Due storie straordinarie, se ne parla poco. L'amore donato, nel senso letterale del termine. Un rene per un fratello , un rene per una figlia…
Partiamo dai due fratelli, romagnoli, innamorati pazzi del basket. Enrico e Gianni. Gianni, per salvare la pelle, deve avere un rene nuovo: glielo ha donato nel 2020 suo fratello Enrico e ora questi due ragazzoni vanno in giro a raccontare la loro storia e di quanto sia importante donare. La loro è diventata quasi una missione. “È stato molto naturale - spiega Enrico - Non c’è mai stato un vero e proprio ostacolo. Mio fratello era in difficoltà e aveva bisogno di me”. E poi: “Ho realizzato al 100 per cento quello che stava succedendo nel momento in cui ci hanno stesi su un lettino”. Vi siete detti qualcosa? “Non me lo ricordo, ricordo però tanta tenerezza, tanto contatto fisico, occhi lucidi, mano nella mano, probabilmente poche parole. Le parole sono venute dopo. Prima c’era bisogno che ci svegliassimo, che fosse andato tutto bene”.
Gianni, il fratello che ha ricevuto il rene: “Ero molto in pensiero per mio fratello e sarei stato disposto a rinunciare al trapianto anche il giorno prima, se me lo avesse chiesto. La cosa grande l’ha fatta lui, non io. Io ho ricevuto. Io ringrazio ogni singolo giorno di essere ancora qui”.
A Gianni sta molto a cuore evitare ogni forma di pietismo o peggio ancora di superomismo. “Ad ogni incontro pubblico io e mio fratello cerchiamo di far capire che non stiamo sopravvivendo ma vivendo una nuova vita. Spesso la gente ti guarda e dice: cavolo ma ti muovi, giochi, ma che bravo. Non abbiamo bisogno della pietà degli altri. E più sbagliato ancora è pensare che chi dona un organo sia un eroe. Invece è una cosa naturale”.
Dai due fratelli a un padre e una figlia. La storia, pur nella diversità, ha molte analogie con quella dei fratelli Serra. Arianna Urgesi, 28 anni, aveva bisogno di un rene nuovo per salvarsi, In giugno l'emergenza: la madre era incompatibile per la donazione, il padre invece era ok. “Ho fatto le prove e sono risultato idoneo e compatibile – precisa Raffaele Urgesi, 56 anni, titolare di un’impresa edile – ed è stata una grande gioia. Per i miei figli, ho anche un ragazzo di 26 anni, farei questo e altro. Se ho avuto paura? No, il giorno dell’intervento ero tranquillo”.
La figlia ammette che “quando è venuto in camera a salutarmi, prima di andare in sala operatoria, ci siamo commossi, ma sapevamo di essere in ottime mani”.
Storie semplici, ma vere. E ci dimostrano di quanto sia importante non essere soli nella vita: c'è sempre qualcuno che si deve prendere cura di te, di me. Anche donando una parte di se stessi