Si sta parlando molto in questi giorni della vicenda di Mario (nome di fantasia), un marchigiano 43 anni tetraplegico che da tempo chiede insistentemente il suicidio assistito (non previsto dalla legge in Italia). Il nostro Gianni Varani gli ha scritto questa toccante lettera aperta

LETTERA APERTA A MARIO

Mario, caro Mario - o comunque tu ti chiami - perdonaci. Sì, abbi tu pietà di noi che non t'abbiamo conosciuto prima. Che non t'abbiamo dato quell'amore che supponiamo di possedere. Noi, i "fortunati", apparentemente graziati dalla sorte. Mario, non t'accusiamo di nulla, anche se tutti desideremmo vedere eroi giganteggiare e vincere la disgrazia, resistere oltre il confine della sopportazione ultima. Al nostro posto. Sappiamo bene che non è così e che non possiamo scaricare le nostre incapacità su altri.

Però qualcosa, carissimo Mario che non conosco, avverto acutamente di doverti dire, forse è solo un baluginio nella notte: la tua vita è straordinaria, la tua esistenza non finisce nel nulla. C'è, ci deve essere una ricompensa per la sofferenza. Il nulla non è l'ultima parola. In qualche modo l'urlo che abbiamo tutti dentro - di dolore e di domanda, di bestemmia e di supplica - ci dice che la grande partita non finisce su un letto sterile o in una tomba oscura. E se il nulla non è l'ultima parola, oltre il confine c'è un volto di misericordia. Quello che ci supplica di restare qui con lui e che è morto in croce con noi, per noi, e che ci dice di non arrenderci.

Come potremmo osare dirti di non arrenderti, noi, i distratti, i superficiali, quelli che non sapevamo di Mario e dei tanti come te? E infatti non osiamo. Indichiamo solo. Timidamente accenniamo all'uomo in croce. Certi che tu vali immensamente e che soffri al posto nostro. Sì, stai pagando per tutti i beneficati dalla sorte, per gli ignavi e i futili, per gli affannati, per chi volge altrove lo sguardo, per chi non sa. Ma ci ritroveremo comunque.

Perdonaci allora se osiamo l'inosabile: dire che sei sulla croce perché non sei solo nel tuo calvario, supplicare di resistere perché dopo c'è altro, c'è tutto quello che desideri. Sarai comunque umano, e desidereremo abbracciarti, come non abbiamo saputo fare in questi anni. Noi, i lontani, i distratti dal futile e dall'inutile. Mario, perdonaci anche questa lettera che speriamo però tu possa ancora leggere.

di Gianni Varani (consigliere del Club)

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Chi mi conosce sa come affronto queste tematiche: non cerco dibattiti infiniti, credo che la "pratica” su questi argomenti conti mille volte più della “teoria”.

C'è però un passaggio della legge approvata dal Parlamento spagnolo che mi ferisce e credo dovrebbe ferire ognuno di noi. Non è un dettaglio.
Si legge in questa legge che il paziente per poter usufruire dell'eutanasia...deve soffrire di una malattia grave e incurabile.

Incurabile? Esiste qualcosa di incurabile?
E come la mettiamo con le migliaia/milioni di persone che al mondo si prendono quotidianamente cura di malati gravi, di disabili anche in condizioni estreme? Non li stanno forse curando? E loro quelli che possono decidere di farla finita, non sono curati, anche amorevolmente curati?

C'è una differenza abissale fra “incurabile” e “inguaribile” e confondere queste due parole in una legge dello Stato non è, non può essere solo un lapsus.

Sta passando da anni il messaggio che in fondo inguaribile e incurabile sono la stessa cosa, che se una persona è gravemente malata o gravemente disabile e visto che prima o poi dovrà morire (beh, anche il gravemente 'sano' prima o poi dovrà morire, no?) diventa perfettamente inutile curarla.

Mi sembra tutto tremendo.

Perché curare vuol dire "prendersi cura di” e in ogni momento della nostra vita siamo chiamati a prenderci cura di...mia moglie, mio marito, i miei figli, i miei fratelli e sorelle, i miei genitori, l'amico in crisi, il collega di lavoro, il cagnolino o il gatto, la pianta da concimare, l'imprevisto che ogni minuto bussa alla nostra porta.
Tutto.

Tutto con le sue fatiche le sue gioie, le sue emozioni. i suoi sussurri, le sue speranze, i suoi misteri.
E se tutto ciò non ha più senso, o almeno in certi momenti diventa inutile, che roba diventa la vita?
Non è un dettaglio, pensiamoci.

Massimo Pandolfi - presidente del Club

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Era un avvocato, si chiamava Andrea Russo. Un nome anonimo, un filantropo anonimo, una persona però speciale. Un amico straordinario per il Club l'inguaribile voglia di vivere.

Era uno dei nostri soci, da anni. Aveva conosciuto agli albori il Club. Rimase colpito dalla storia di Carlo Marongiu e di sua moglie Mirella; lui ex vigile del fuoco malato di Sla, lei sempre al suo fianco, fino all'ultimo respiro, nella loro Narbolia, in Sardegna. Silenziosamente, nel suo stile, si era dato da fare per aiutare Carlo e Mirella. Poi si è avvicinato sempre di più al Club, si associava a noi ogni anno, spesso e volentieri, ora possiamo dirlo - faceva donazioni importanti -. E' grazie anche a lui se siamo riusciti a portare a termine alcuni progetti.
Poche parole, e mai una di troppo, tanti fatti. Un occhio sempre amorevole per la nostra attività, per la nostra missione.

L'ho conosciuto di persona poco più di un anno fa, a Roma, in Parlamento, quando per il decennale del Club abbiamo presentato il libro 'Innamorati della vita'. Venne all'incontro insieme a sua moglie Stefania e bastava guardarlo negli occhi per capire che gran signore era quest'uomo. Giuro, non sono le solite cose che si dicono per chi non c'è più.
Sì, perché Andrea Russo, l'avvocato Andrea Russo, ci ha lasciati, è salito in cielo. Ce lo ha comunicato proprio Mirella Marongiu, la nostra Mirella, lei che ha fatto da tramite fra noi e questo galantuomo.
Non ha voluto fiori per questo suo ultimo viaggio, ma opere di bene. E anche queste opere di bene ha deciso di dirottarle a noi, al Club L'inguaribile voglia di vivere.


Grazie Andrea (posso chiamarla per nome per l'ultimo saluto?), grazie di tutto e per tutto. Il suo esempio decennale rappresenterà per sempre una pietra miliare del nostro cammino. Non la dimenticheremo
Massimo Pandolfi, presidente del Club

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